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Con il dilagare incessante della pandemia ancora in corso e l’aumento esponenziale dei contagi, i vaccini sono oggi all’attenzione nono solo della comunità scientifica e politica, bensì anche dei giuristi che si trovano a dipanare una serie di complessità sorte nell’applicazione del districato mondo normativo.

I vaccini possono essere obbligatori (come avvenuto per l’epatite A) e non, tuttavia possono sempre causare danni alle persone come avvenuto a seguito dell’inoculazione dei vaccini contro il Covid-19.

Il caso dei vaccini contro il Covid-19 è similare a quello delle malattie derivanti da esposizione di amianto, patologie che si manifestano spesso a distanza di molto tempo rispetto al primo contatto con il fattore patogeno.

L’accertamento del nesso causale, infatti, pone delicati problemi soprattutto quando l’evento lesivo si verifica a grande distanza dalla causa che lo ha originato: si tratta di capire non solo se l’evento sia casualmente riferibile a quel certo fattore, ma anche se, nel lungo lasso di tempo che separa il fatto dall’evento, ne possa essere sopraggiunto un altro idoneo a interrompere il nesso causale e a cagionare in via autonoma il fatto di reato.

Uno dei principali problemi è anche la corretta imputazione ai soggetti responsabili, posto che la malattia si manifesta dopo diversi anni rispetto al momento della vaccinazione e, nel corso del tempo, è probabile anche che i soggetti apicali preposti al controllo dell’iter vaccinale non siano più gli stessi.

In modo non dissimile da quanto accaduto per l’esposizione all’amianto, anche in questo caso sarebbe opportuno a risolvere il dubbio relativo alla natura di dose correlata o indipendente del vaccino, e cioè se sia stato un solo vaccino a causare l’evento, oppure le seconde o terze dosi.

Occorre in ogni caso partire da basi certe – come quelle sulla causalità penale – per risalire al punto di approdo utile, nonché prendere in esame la giurisprudenza sui danni lungolatenti nell’ambito dell’amianto poiché, seppur siano fattori completamente diversi, hanno in comune lo studio dell’incertezza scientifica e su come farvi fronte (cfr. sul punto sent. Franzese n. 30328/2002; sent. Cozzini n. 43789/2010; sent. Cantore n. 16237/2013; recentemente Cass., Sez. IV n. 45935/2019).

Il ragionamento da condurre dunque si fonda sul c.d. sistema bifasico, delineato dalle Sezioni Unite nella sentenza Franzese: si procede a verificare se le condotte degli autori possano rientrare nel novero degli antecedenti che, secondo una legge scientifica di copertura, sono in grado di provocare eventi come quello verificatosi nel caso di specie – causalità generale – e dopo appurare se l’evento concretamente verificatosi sia riferibile a decorsi causali alternativi rispetto a quello ipotizzato – causalità individuale.

A questo punto si dovrà cercare una legge scientifica di copertura che consenta di ricollegare eziologicamente l’esposizione al vaccino con l’insorgenza delle diverse patologie che potrebbero derivarne; se la legge risulta esistente, è poi necessario specificare se si tratta di una legge di copertura universale o solo statistica e, in quest’ultimo caso, se la stessa abbia spiegato i propri effetti nel caso concreto, una volta esclusi i decorsi alternativi.

Le suesposte considerazioni, tuttavia, rivestono attualmente un carattere più che altro teorico considerato che non esiste ad oggi una legge universalmente accolta che riconduca le lesioni al vaccino da Covid-19 trattandosi di un ambito nuovo e sottoposto ancora a studi.

 

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